Meteo e fioriture
In aprile, le condizioni meteorologiche sono risultate altamente instabili, con temperature decisamente superiori (nella prima metà del mese) e inferiori (nella seconda metà del mese) alle medie stagionali.
Il clima inizialmente favorevole ha consentito la fioritura di diverse specie di interesse apistico e facilitato lo sviluppo delle colonie d’api; tuttavia, alcune piante sono fiorite con largo anticipo rispetto alla norma.
Nelle aree prative è iniziata la fioritura dei trifogli (Trifolium repens e Trifolium pratense), mentre continua quella della pratolina comune (Bellis perennis) ed è terminata precocemente quella del tarassaco (Taraxacum officinale), di cui sono state ottenute produzioni di miele scarse.
Nelle aree urbane sono fioriti la glicine (Wisteria sinensis), la fotinia ibrida a foglie rosse (Photinia× fraseri), mentre sul lauroceraso (Prunus laurocerasus) le api visitano assiduamente i nettarii extrafiorali presenti sulle giovani foglie dell’anno. Nelle siepi e nei boschetti delle aree agrarie sono fioriti il biancospino (Crataegus spp.) e la sanguinella (Cornus sanguinea), da cui le api ricavano nettare e polline, e l’orniello (Fraxinus ornus), che fornisce alle colonie buone quantità di polline.
In pianura, sta terminando la fioritura del colza (Brassica napus), mentre è appena iniziata quella dell’acacia (Robinia pseudoacacia), su cui gli apicoltori ripongono le maggiori aspettative dopo la delusione dell’anno passato. Anche quest’anno, nella bassa e nella media pianura friulana, l’acacia ha iniziato a fiorire con largo anticipo (di circa due settimane rispetto al passato) poco prima del drastico calo delle temperature, che ha indotto, nelle fasce più settentrionali della pianura, una certa scalarità di fioritura anche fra piante contigue, prospettando un esito incerto della produzione di miele.
Tecnica apistica
Attualmente, gran parte degli alveari sono completamente sviluppati, presentandosi con un quantitativo consistente di api e di covata; tuttavia, essi sono rimasti ancora improduttivi, per le condizioni climatiche avverse. Infatti, molte colonie che avevano importato nettare a inizio mese lo hanno successivamente consumato durante il maltempo, costringendo in diversi casi gli apicoltori a ricorrere a una nutrizione di soccorso con candito o sciroppo zuccherino.
Oltre a sfavorire l’ottimale fecondazione delle api regine vergini, le temperature basse e le piogge prolungate hanno impedito il volo alle api bottinatrici causando, nelle colonie più forti, un sovraffollamento e il conseguente innesco della febbre sciamatoria, che andrebbe contenuta per favorire le prossime produzioni di miele.
Esistono diverse tecniche che si possono impiegare per evitare la sciamatura degli alveari, alcune della quali sono descritte brevemente di seguito.
1. Eliminazione delle celle reali: consiste nel controllare settimanalmente tutti i favi di ogni colonia, con lo scopo di eliminare tutte le celle reali presenti. Se eseguita con accortezza, questa tecnica impedisce la nascita di una nuova regina che possa sostituire quella già presente, che è dunque costretta a restare nell’alveare assieme alle api.
2. Salasso delle colonie: consiste nel prelevare, dagli alveari forti, più popolati e potenzialmente pronti a sciamare, 1 o 2 favi di covata fresca e opercolata con api e scorte; i favi vanno collocati in un’arnietta di polistirolo, dove le api alleveranno una nuova ape regina, dando origine a una nuova famiglia (nucleo). In alternativa, i favi prelevati dagli alveari forti possono essere distribuiti a quelli più deboli (praticando un pareggiamento delle colonie). Con il salasso, l’alveare di partenza viene indebolito e manifesterà una minore propensione alla sciamatura.
3. Taglio dell’ala dell’ape regina: consiste nel recidere una porzione di ala all’ape regina che, non potendo volare, al momento della sciamatura cade di fronte al predellino; in conseguenza di ciò, le api uscite per seguirla, non avvertendo la sua presenza, rientrano nell’alveare di origine. In questo modo, la colonia mantiene la sua capacità produttiva e provvede ad allevare una nuova ape regina. Questa tecnica non è praticabile in apicoltura biologica, essendo vietato il taglio dell’ala.
4. Ingabbiamento dell’ape regina: consiste nell’intrappolare l’ape regina in strutture idonee per circa tre settimane, eliminando subito e a distanza di una settimana le eventuali celle reali presenti nell’alveare. Così facendo, si evita il controllo settimanale della sciamatura durante il periodo di maggiore importazione, ovvero in presenza di melari pesanti da sollevare. Tuttavia, questa tecnica non può protrarsi per periodi prolungati.
5. Confinamento dell’ape regina: consiste nello spostare l’ape regina e 2-3 favi con covata, api e miele in un’arnietta di polistirolo. Nell’alveare orfano, che non potrà più sciamare, dovranno essere eliminate tutte le celle reali tranne una, da cui nascerà la regina nuova; alla visita successiva, dopo una settimana circa, le eventuali ulteriori celle reali presenti andranno eliminate, a eccezione di quella lasciata all’inizio. Dopo 3-4 settimane, occorrerà controllare la presenza della nuova regina e l’avvenuta fecondazione.
Quando le temperature si saranno stabilizzate, nei nuclei e nelle colonie non ancora complete, si suggerisce di allargare il nido fornendo, a cadenza settimanale, un favo già costruito o un foglio cereo tra l’ultimo favo di covata e il primo di scorte. È buona norma inserire annualmente almeno un paio di telai con foglio cereo per rinnovare la cera del nido, al fine di ridurre la carica di microbica nell’alveare e la quantità di residui delle sostanze attive impiegate per la lotta alla Varroa, che altrimenti potrebbero favorire lo sviluppo di popolazioni resistenti dell’acaro.
Infine, si ricorda che in questo periodo dell’anno, in presenza di buone condizioni meteorologiche e di consistenti importazioni di nettare e polline, è possibile avviare la produzione di pappa reale e l’allevamento di api regine, grazie alla numerosa presenza di fuchi.